Barna 90210

di nita

Siamo cresciutx col mito di Beverly Hills, del biondo, bello, sano e snello. Siamo statx allevatx nella menzogna di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Eppure, abbiamo miracolosamente scelto la via della diserzione, dell’eccedenza e della perversione. Che gli Spiriti Demoniaci continuino ad ispirare i nostri passi incerti nell’imprevedibile cammino attraverso le darkroom della vita!

Joy era arrivato a Barcellona da una settimana, aveva una rete di conoscenze nuove da esplorare, il sole in faccia e il cuore ricolmo di speranze. Si avviava a passi svelti ad una festa in un appartamento del quartiere Raval, a cui era stato invitato grazie all’intercessione di amicx, di amicx, di amicx. Era proprio agio nell’identità che si era confezionato per l’occasione. Aveva deposto tute, jeans e felpe unisex, che gli consentivano di non sentirsi soffocare in vesti disforiche, e mantenere al contempo una “decenza di genere” professionale, ovvero uno stile neutro ma dignitoso difficilmente contestabile dalle autorità del sistema scolastico, in cui era imprigionato per dieci mesi l’anno. In una sola settimana di libertà aveva fatto follie: capelli fuxia, un tatuaggio raffigurante l’uroboro/unicorno, smalto solo sugli indici e sul secondo dito di entrambi i piedi, pochissime docce, e uno stile d’abbigliamento che oscillava tra uno steampunk un po’ rozzo e un sadomaso un po’ arrangiato. Aveva donato ad un passante la costosa boccetta di “Armani Code”, profumo con cui marcava il territorio da 7 anni, dopo che al suo arrivo a Barcellona, ciò era stato definito “muy italiano”, seppur con apprezzamenti entusiastici, seguiti da intrigantissimi annusamenti, dagli amici riuniti ad accoglierlo. Era pronto ad aprirsi al nuovo. Grazie a una dose elargita da un amico catalano in transizione, aveva potuto finalmente coronare il suo grande sogno: provare almeno una volta il brivido del testosterone vero. Quello maschile, e non quei bruscolini di testosterone femminile che tentava di produrre in palestra a colpi di military press, squot e addominali. “Minore in quantità, ma più reattivo!”, ripeteva per incoraggiarlo il benevolo e paziente istruttore, durante estenuanti sessioni di body building finalizzate a produrre l’ambito ormone. Si era “pinciato” come dicevano lì, ovvero si era iniettato la sostanza. Non era eroina, era T. Sapeva che una piccola quantità in un’unica somministrazione non avrebbe probabilmente avuto alcun effetto fisiologico, ma avvertiva dentro di sé tutta la potenza simbolica e politica di quel gesto. Mentre correva leggiadro su per le scale dell’antico palazzo, per raggiungere la festa, Joy si sentiva sospinto da una schiera di angeli che avevano i volti di Paul B. Preciado, Mario Mileli, Sylvia Rivera, Frank-N-Furter e tantx altrx che prima di lui avevano sofferto, rischiato e lottato e avevano spianato la strada affinchè lui oggi potesse essere una frocia libera e correre spensierato incontro a una notte di godimento e perversione. Suonò il campanello ansimando, spaventato e felice. Gli aprirono. Lo salutarono con un bacio improvviso e sconosciuto sulla bocca: lungo, dolce e pieno d’amore. Si accorse nei primi minuti di non conoscere nessuna delle persone presenti al party.

Una fatina con bacchetta e collare da cagnolina si incaricò di introdurlo e condurlo nel giro di ambientazione: ovunque nell’appartamento c’erano persone impegnate in atti sessuali di gruppo. I loro corpi avevano perso genere, identità e confini. Una persona declamava poesie passando per i locali della festa. In un angolo, su un tavolino basso, piccolo strisce di una polvere rosa erano disposte con ordine e generosità per chi volesse approfittarne… Qualcunx chiaccherava, qualcunx guardava soltanto, qualcun altrx ballava al ritmo di lisergici beat.

Joy fece in quella festa cose che non avrebbe mai pensato di fare quella sera e forse nel corso della vita. Fu invitato inizialmente a una gang bang di sevizie attuate su una figura magra e snella, che lo informarono essere, l’abitante dell’appartamento in cui si trovavano. La vittima aveva un’erezione notevole e duratura e sembrava godere soprattutto durante la fustigazione dei piedi. Dopo un tempo indefinito di dolce supplizio, semplicemente eiaculò e si addormentò profondamente al centro della stanza dove rimase tutta la notte. Dissoltasi la diabolica comitiva, Joy si trovò invischiato in un trio di baci lunghi e profondi con lingue che si intrecciavano in forme impossibili, con slanci animaleschi. Non vedeva quasi le persone a cui era avvinghiato ma le sentiva bellissime, in un contatto ancestrale tra anime, di cui i corpi erano minuscole e perfette estensioni carnali. Fu una lunga notte… Joy proferì poche parole, ma incrociò molti sguardi. Leccò fiche, toccò peni, baciò pance. E soprattutto si fece penetrare. Si fece penetrare da più persone e in tutti i buchi, da “cazzi cyborg” e “pezzi originali”. Si fece penetrare godendo e gridando. Si fece penetrare come non succedeva spesso, come non succedeva più… Con l’aurora che diventò l’alba, i morsi si trasformarono in carezze, le grida in sospiri, i mucchi selvaggi in tenere connessioni. La luce ricacciò i Demoni metropolitani nei loro covi sotterranei, da cui avrebbero progettato nuove incursioni attraverso possessioni di corpi ribelli.

Sdraiato sul pavimento del mattino ormai silenzioso, Joy si assopiva e poi si risvegliava richiamato alla veglia dalle sinapsi chimiche dei pensieri imbizzarriti, di una notte dal senno imbavagliato. “Non ci si immerge mai due volte nelle stesse acque”, gli aveva detto, un pescatore di telline sulla spiaggia di Sperlonga in un tramonto di inizio estate. Eppure a volte bisogna farsi travolgere da un’onda anomala di libertà per ricordarsi di essere gocce e non sassi. Annoiato dai suoi stessi pensieri e divertito del proprio filosofare strafatto, Joy abbracciò il corpo straniero che lo accarezzava da lunghi attimi e si lasciò sprofondare in un sonno senza sogni.

Settembre…Seduto nel cortile della scuola di periferia romana in cui lavorava, Joy si era perso in un lungomare da fondo bianco e  palme in fila, lontano da Bervely Hills, il sud dell’Europa.

“Cristian!” – “Cristian!”. Joy Mise a fuoco la figura della Maestra che ripeteva gridando, rossa in viso, il nome del bambino, a cui era stato diagnosticato “autismo” e di cui doveva occuparsi, e su cui era stato richiesto in forma scritta che si “vigilasse”. Joy si voltò talmente di scatto da sentire la testa staccarsi dal collo, nella paura che la sua distrazione avesse provocato la tragedia, rientrando improvvisamente nell’altra parte di sé, il ruolo: l’Educatrice… In effetti, il disastro si era consumato e sembrava  irreparabile:  Cristian si era tolto le scarpe! L’Educatrice si alzò lentamente, guardò la maestra cercando di non tradire la pena che in quell’istante provava per lei e per tutto il sistema dell’istruzione italiana, e si avvicinò al bambino scalzo. Ripristinata l’operosità del personale sottoposto, la Maestra si calmò e tentò un approccio con chiacchere amichevoli, per verificare se il richiamo all’ordine avesse innescato malumori. “Non sei abbronzata, non sei stata in vacanza?” chiese la Maestra. “No, sono stata a Zagarolo ad assistere dei miei zii anziani e molto malati…” mentì l’Educatrice, con un falso sospiro rassegnato e un sorriso bonario da #Santa-in-vita…”Ah!” Rispose la maestra che poi si allontanò gridando: “Bambiniiiiii! Non toccate la terra che ci sono i vermiiiiiiiii!!!”.

L’Educatrice accovacciata guardò il bambino scalzo negli occhi a lungo, tenendo le sue mani nelle proprie e accarezzandole dolcemente: “non si può stare senza scarpe a scuola, Cristian”. Il bambino non capì, ma capì. Mise un braccio attorno al collo dell’Educatrice, nascose la testa e lo sguardo sulla sua spalla e alzò il piede piccolo per farsi rimettere la scarpa. L’educatrice sentì una freccia di tristezza trafiggerle il cuore. Una minuscola lacrima azzurra le si formò nell’angolino dell’occhio destro, ma l’Educatrice la ricacciò indietro, perché quella lacrima era di Joy.

Bambini: non toccate la terra, che ci sono i vermi.

Il racconto è contenuto nella raccolta “Altri Immaginari ” una collezione aperta e apribile non di farfalle ma di esperienze, desideri, perversioni, emozioni, giochi
dove protagonista è il corpo che desidera, racconta e si racconta
in tutte le sfaccettature del margine e del confine
(vecchix, grassx, stoprpix, razializzatx, asessuali, lesbicx, frocix, queer, nobinary, transfemministi, xxxxxxxxxxx, noir, no border…) . Edizioni Golena

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